di Giovanni D’Ercole* – Da mesi noi italiani stiamo vivendo qualcosa di unico: partiti che non trovano l’accordo per dare un governo al Paese. E’ successo anche altrove è vero, ma questo non toglie che una riflessione su quanto accade sia opportuna e probabilmente necessaria. Davanti alla crisi della politica che ormai è diventata preoccupante è inutile mettersi a criticare e ripetere luoghi comuni di rabbia e di scontento. Appare evidente che quanto stiamo vivendo è il risultato d’un percorso di anni che ha fatto perdere il valore e il significato dell’impegno politico, annebbiando la memoria storica delle prime lotte e sforzi per dare corpo alla nostra Repubblica, dopo il dramma della seconda guerra mondiale. Tutti sogniamo figure come Alcide De Gasperi e più vicino a noi come Aldo Moro, Giorgio La Pira, Enrico Medi e altre personalità di partiti diversi come Togliatti, Nenni, ecc. pronti a sacrificare, quando necessario, le proprie visioni e i propri interessi per il bene comune di tutti gli italiani. E lo abbiamo visto in diverse situazioni: così facendo hanno costruito l’Italia. Nel ’68 c’era scontro, dialettica, sete d’impegno politico talvolta con eccessi di violenza che hanno portato a lutti nazionali. Non mancava però da parte di tutti, specie dei giovani, la passione per il bene comune sia pure combattuto e ricercato da sponde diverse. Oggi sembra diffusa una quiete scoraggiata che mostra disinteresse e voglia di fuggire dal concreto. Sulla scena politica ci sono personaggi che si autoproclamano leaders di partiti creati a loro immagine e somiglianza. Secondo alcuni tutto questo è nato dopo 1994 con la cosiddetta stagione di “mani pulite” che voleva essere la primavera d’una Italia rinnovata socialmente e politicamente. A ben vedere non sembra che abbia sortito gli effetti auspicati, ma purtroppo si è diffusa una disaffezione dalla politica e non è sparita la corruzione, per alcuni versi ancor più pericolosa perché ormai insinuata in ogni maglia della burocrazia aumentata proprio per impedirla. Che fare, mi chiedono in tanti che non vorrebbero andare più a votare nauseati di questa situazione tutta italiana.
Come cittadino e come vescovo sento il bisogno di proporre una riflessione ad alta voce. Quel che stiamo vivendo interpella tutti, anche e soprattutto noi cristiani. Nella politica a tutti i livelli c’è sete di cambiamenti positivi, anelito di una novità vera che sia riconquista di serietà e competenza oltre a onestà e dedizione, a partire dai capi dei partiti. Sto leggendo in questi giorni un libro sulla vita e l’esperienza d’un politico scomparso nel 1974, Enrico Medi, scienziato prestato alla politica e del quale è in corso la causa di beatificazione. L’ho sentito più volte da ragazzo negli incontri con i giovani: padre di famiglia, da sempre affascinato dall’armonia del cosmo e dalla bellezza del creato, ha saputo coniugare con intelligenza i due linguaggi spesso messi in contrapposizione quali scienza e fede. Tanto per capire lo spessore di questo politico, che non ha mai rinunciato ad essere coerente con i principi cristiani, cito questa sua riflessione: “L’uomo diventa grande quando nella sua piccolezza raccoglie la grandezza dei cieli e lo splendore della terra e al Padre comune le offre in adorazione e amore”. Se ci guardiamo attorno sentiamo tutti l’esigenza d’un cambiamento, ma come? Enrico Medi, più di quaranta anni fa, scrive queste parole che sembrano ritrarre la situazione attuale: “La maggior parte di noi è travolta dal rumore di frasi fatte, di slogans ripetuti e martellati e martellanti le nostre teste fino all’intontimento cerebrale, siamo diseducati al processo mentale sereno, libero, puro, sganciato dalla passionalità e dalla ossessione delle eventuali conseguenze pratiche dovute alle verità ritrovate. Quelli che risentono maggiormente il disagio di tale stato di cose, sono i giovani, che si adattano male all’irrazionalità e nella generosità naturale dei loro cuori cercano ansiosamente un ordine che li soddisfi. Lo cercano in ogni modo, ma troppo spesso non lo trovano. Nel loro spirito si formano vuoti immensi, paurosi: non vi è nulla che faccia maggiormente terrore che il vuoto, la nebbia, il buio, l’incerto. Allora gridano nelle forme più eccentriche, si afferrano a qualsiasi idolo che venga loro presentato: sembra che vogliano stordirsi di fronte ai prepotenti richiami della verità e della vita”.
Diciamoci chiaramente che è ora di svegliarci. Astenersi dal votare, lamentarsi in pubblico e in privato, criticare i politici non porta da nessuna parte. La situazione è talmente grave che nessuno può dirsi esonerato dal sentire la “questione della politica” come propria, come un dovere civile e un impegno cristiano. Certamente non possiamo cambiare la situazione d’un colpo. Qualcosa però possiamo farla tutti e urge non perdere tempo: pregare, pregare molto perché Dio illumini le coscienze di chi è chiamato a responsabilità istituzionali e pregare per chi ha il compito – cioè tutti noi – di non rimanere assente dal cantiere sempre aperto della costruzione della nostra società italiana. Per questo ognuno deve assumere le proprie responsabilità. Laici delle nostre parrocchie: non aspettate che il prete vi dica per chi votare o vi raccomandi per trovare lavoro, ma coinvolgetevi nelle decisioni e nelle scelte politiche a ogni livello. Abbiate il coraggio di osare la politica del servizio competente e trasparente per il bene comune, iniziando dal basso. Impegnatevi nei comitati di quartiere, nelle assemblee cittadine, nei consigli di classe o nei comitati delle fabbriche. Siate esigenti con coloro che avete votato e marcateli stretti perché non deludano le promesse elettorali. Scegliete con grande attenzione i partiti e non su base emotiva o interessi di parte. Se la situazione cambierà è solo perché ognuno di noi avrà accettato di fare fino in fondo il proprio dovere costi quel che costi. Come vescovo sento il bisogno di stare accanto e incoraggiare in ogni modo chiunque abbia il coraggio di mettersi in gioco per dare all’Italia un presente di giustizia, di fraternità e di pace, improntato ai ricchi richiami della Dottrina sociale della Chiesa, dottrina che abbraccia l’intera vicenda dell’uomo e della società.
Scriveva Enrico Medi negli anni settanta del secolo scorso: “La politica per i cristiani è un problema morale. Comando, centri di potere sono parole che mi fanno schifo. Ma che centri di potere! Centri di servizio, di sacrificio, d’immolazione, di morte. Neanche dovrebbero essere conosciuti i nomi di coloro che comandano, come gli oscuri lavoratori di tante parti…. Noi cristiani dobbiamo credere al potere come a un servizio a tutti i livelli, in tutti i campi. Dice: ma gli altri non lo fanno! Che importa? Dio da un germe fa nascere il grano per la terra; da un granello di senapa, le piante che coprono di ombra i passanti; dal sacrificio di qualcuno o di molti di noi, fa nascere una nuova civiltà”.
In giro c’è smarrimento e confusione, che dobbiamo trasformare tutti insieme in fiducia e fraternità. Preghiamo intensamente perché lo Spirito Santo susciti almeno qualcuno che ragioni, viva e parli come il servo di Dio Enrico Medi. Diventerebbe, ne sono certo, il punto di riferimento di tanta gente che non sa più da quale parte guardare. E sono certo che l’Italia potrebbe ripartire alla grande perché abbiamo risorse nascoste che allo scopo diventano forze propulsive di rinnovamento umano, sociale, economico e spirituale.
* vescovo di Ascoli Piceno
(Nota pastorale del Vescovo di Ascoli Piceno, 8 maggio, Festa della Madonna di Pompei)